Il Seicento


Il Seicento: assolutismo e persecuzioni

I primi decenni del XVII secolo non registrano altri scontri, ma Carlo Emanuele I, figlio di Emanuele Filiberto, attua una politica fortemente influenzata dalla Controriforma; intimidazioni, minacce e proibizioni nei confronti dei valdesi sono una costante nei numerosi editti emanati dal Duca.

La decisione di risolvere una volta per tutte la questione valdese viene presa nel 1655, in un periodo di turbolenza interna del ducato, segnato dalla reggenza della Madama reale Cristina di Francia; l’attacco si trasforma in un vero e proprio massacro, passato alla storia con il nome di Pasque Piemontesi, e suscita una forte ondata di solidarietà da parte dei confratelli dell’Europa protestante cui i valdesi si rivolgono con un accorato appello di denuncia e implorazione di aiuto. La Confessione di fede della Chiesa valdese risale proprio a quell’anno, e farà parte degli opuscoli fatti circolare nei paesi protestanti per dare notizia del tragico evento.

Il Seicento, secolo del furore delle passioni politiche, dell’affermazione della monarchia assoluta di diritto divino il cui mantello copre i peggiori eccessi dell’autorità, raggiunge il suo apice con Luigi XIV che nel 1685 revoca l’Editto di Nantes, promulgato da Enrico IV nel 1598 (garantiva la libertà e identità dei suoi sudditi, indipendentemente dalla religione professata), e sferra il colpo definitivo ai protestanti. Vittorio Amedeo II, che ha sposato la nipote di Luigi XIV, compie l’attacco più crudele e intenzionalmente risolutivo contro i valdesi. Nel gennaio 1686 emana il primo Editto di persecuzione al quale i valdesi rispondono con le armi. 2000 vengono giustiziati, 2500 circa sono lasciati in pace perché cedono al martellante invito alla cattolicizzazione, un migliaio di fanciulli è sottratto ai genitori e i restanti circa 8500 valdesi vengono rinchiusi nelle prigioni del Piemonte. Un anno dopo, il 3 gennaio 1687 il Duca firma l’Editto di liberazione: i prigionieri che scelgono l’abiura vengono deportati nel vercellese, mentre 2750 accettano l’espatrio in Svizzera, concordato da Vittorio Amedeo II. Nell’agosto del 1689, con una lunga marcia attraverso le Alpi, un migliaio di esuli valdesi partito da Prangins, sul lago Lemano (Svizzera), e guidato dal pastore Henri Arnaud riesce a ritornare alle Valli; il resoconto che lo stesso Arnaud pubblica nel 1710 ha per titolo Histoire de la Glorieuse Rentrée e, da allora, l’avvenimento è noto come Glorioso Rimpatrio.